Il Buddhismo non è una Religione e non è una Filosofia. Il Buddhismo è una Scienza. Anzi è una Scienza Aristocratica: il principe Gautamo Siddharta era di quella misteriosa stirpe ariana che, circa 2000 anni prima di Cristo, discese dal Nord e giunse in Europa, in Iran e nel Subcontinente Indiano.
La parola sanscrita Ariya (Ariano) è di difficile traduzione, anche se viene comunemente tradotta con “Nobile”. In generale la parola “Ariani” indica una “razza dello spirito” presente nell’Umanità fin dagli albori della preistoria. Questa “razza” si pone dunque in netta contraddizione con le popolazioni ginecocratiche ed autoctone del sud del mondo che, nella loro recente storia, hanno partorito religioni come l’Ebraismo, l’Islamismo ed il Cristianesimo, religioni, che, con i loro contenuti elementari, erano molto più adatte a delle popolazioni, che per motivi genetici, erano incapaci di comprendere la profondità delle dottrine ariane.
Il Buddhismo nasce in ambiente induista e quindi recepisce la parte più profonda dell’insegnamento dei Veda e delle Upanishad, gli antichi testi nei quali fu messa per iscritto la precedente Tradizione orale degli Ariani. Questi antichi insegnamenti erano il frutto della diretta esperienza dei Rishi, quegli asceti che si ritiravano per anni in solitudine nelle foreste per dedicarsi alla Meditazione ed alla ricerca della Verità.
L’affermazione che per l’Uomo esista la possibilità di conseguire l’Illuminazione non è dunque una novità portata dalla Dottrina Buddhista. Questa Dottrina però pone l’accento sulla via da percorrere per raggiungere questo stato che, nella storia dell’Umanità, pochissimi uomini sono riusciti a realizzare.
Per questi motivi non esiste una Metafisica Buddhista, ma solo una rigorosa analisi della condizione umana e della via per liberarsene.
L’Uomo è prigioniero della manifestazione, è immerso nel Samsara, l’oceano dell’esistenza. L’Uomo è afflitto da una Ignoranza Metafisica che lo porta a trovarsi in un punto di vista errato. Irreale è il mondo “esterno”, ma irreale è anche l’io che lo percepisce: la manifestazione è esclusivamente mentale, non vi è nulla di esterno alla mente. Mentale è l’oggetto percepito e mentale è l’io che lo percepisce. L’errore metafisico consiste nell’identificarsi solo con un “lato” della Rappresentazione, quello che definiamo col termine “io”. L’Essere reale non è dunque l’io, ma il Testimone dell’intera Rappresentazione della quale l’io è solo una delle parti. Dobbiamo dunque riconoscere che siamo precipitati in una realtà illusoria che crea la convinzione di un io individuale e di una realtà esterna all’io. Il Testimone è prigioniero di questa realtà illusoria la cui natura caotica è ordinata dalle categorie, altrettanto irreali, del Tempo e dello Spazio.
In questo senso vanno intese le quattro nobili Verità:
1) La Verità del Dolore: la nostra è una condizione irreale caratterizzata dalla sofferenza.
2) La Verità dell’origine del Dolore: il Dolore è causato dall’Ignoranza della nostra vera natura (Avidya). Questa Ignoranza ci fa credere nell’esistenza di un io individuale e di un mondo al di fuori di esso. Questo io è vittima della sete, della brama di esistere.
3) La Verità della cessazione del Dolore: è il totale annientamento della sete, la rinuncia, l’abbandono, la liberazione, il distacco. Occorre liberarsi dell’attaccamento all’irreale ed al transitorio.
4) La Verità della via che porta alla cessazione del dolore: é l’ottuplice sentiero, cioè retta comprensione – retta intenzione – retta parola – retta azione – retta sussistenza – retto sforzo – retta presenza mentale – retta concentrazione.
L’Asceta dunque percorre l’ottuplice sentiero. Il sentiero è costituito da otto parti che vanno percorse contemporaneamente: non sono assolutamente una successiva all’altra.
L’Asceta, nel suo percorso è solo: non vi sono divinità che vengono in suo soccorso, non vi è un Salvatore. Il mondo divino è egualmente prigioniero della manifestazione e nessun dio può mai essere superiore ad un Buddha, un illuminato.
L’Asceta dovrà restare imperturbabile man mano che, nella sua ascesa, altri mondi ed altri piani della realtà gli si presenteranno. Sopratutto non si dovrà lasciare incantare da alcuno di essi, cosciente della loro illusorietà. Quando raggiungerà lo stadio in cui potrà compiere azioni miracolose, assolutamente non dovrà mai usare questi suoi poteri.
Fermo, Impassibile, solitario, imperturbabile, con la mente salda percorrerà l’ottuplice sentiero praticando la retta comprensione della illusorietà dell’io individuale, la retta intenzione al non-attaccamento ed alla cessazione di ogni bramosia, il retto modo di parlare, la retta azione non motivata da fini egoistici svolta senza attaccamento verso i suoi frutti, la retta sussistenza che non implichi danno o sofferenza ad altri esseri viventi, il retto sforzo nella meditazione senza eccessi nel mortificare il proprio corpo, la retta presenza mentale “fermando” la mente che, come una scimmia, salta di ramo in ramo e la retta concentrazione per fissare gli stati raggiunti e non perderli dopo un istante.
La via è lunga e difficile e, nella storia dell’Umanità, pochissimi uomini hanno raggiunto il traguardo, la condizione di Buddha, di Illuminato. Ripetiamo, non è una Religione e non ha niente a che vedere con le Religioni. E’ una Scienza antica impossibile ad esprimersi a parole. Il paziente lettore mi perdonerà per l’insufficienza di questo mio tentativo di esprimere il vero senso della Dottrina Buddhista.
“Esiste, o monaci, un non nato, non evoluto, non fatto, non condizionato. Se non ci fosse questo non nato, non evoluto, non fatto, non condizionato, non si potrebbe scorgere via di scampo dal nato, evoluto, fatto, condizionato. Ma poiché, invece, c’è un non nato, non evoluto, non fatto, non condizionato, si scorge una via di scampo dal nato, evoluto, fatto, condizionato”.
Aggiungi commento